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Un anno per fare memoria del dono della fede

Nel motu proprio “La porta della Fede”, al paragrafo 8, papa Benedetto non teme di dichiararsi il primo interessato all’Anno della fede come un “tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre”. Si potrebbe anche precisare, di grazie speciali. Come a dire che l’Anno della Fede lo indice anzitutto per se stesso.
Ma poiché lo considera fecondo di grazie per lui stesso, essendo lui inseparabile dal collegio universale dei vescovi, su cui, per volontà di Cristo, gode il primato, mira a coinvolgere tutto l’episcopato del mondo che da lui è inseparabile. Per questo rivolge l’invito ai “Confratelli Vescovi di tutto l’orbe”. E poi, ovviamente, a tutti gli ordinati, ai consacrati e ai fedeli.
L’obiettivo ha contorni e nucleo precisi: “Fare memoria del dono prezioso della fede”. Precisiamo i termini.
Anzitutto la fede è definita un dono prezioso. Se di fatto la fede è la facoltà di mettersi in relazione di salvezza con Dio, ciò non è frutto dell’impegno dell’uomo, di una sorta di scalata dell’uomo verso Dio, con la pretesa che Dio gli apra le porte della comunicazione, ma esclusivamente della gratuità dell’amore di Dio, come evidenzia in modo splendido ed inequivocabile l’apostolo Paolo. Sul valore della fede che il papa definisce “prezioso”, lo può certificare e testimoniare ognuno che lo sta incarnando in sé come senso del vivere e parametro del proprio agire.
Il secondo segmento da precisare: “fare memoria”. In termini biblici, il fare memoria non equivale a rispolverare un fatto per farlo riemergere dalla memoria. Significa molto di più. Vuol dire farla rinverdire, ridarle vigore. Mettendola al centro della nostra vita, affinché sia proprio la fede a fecondare la nostra vita di cristiani, che significa di adesione a Cristo, seguendo la mappa del Vangelo.
Aderire al Vangelo in modo consapevole, al dire del papa, è una concretizzazione che assume il senso della fede, non destinata a crogiolarsi nell’intimità, ma a confrontarsi con il “momento di profondo cambiamento, come quello che l’umanità sta vivendo”. Dunque, l’Anno della Fede non giustifica fughe dal mondo, ma sospinge proprio a confrontare la forza della fede con il cambiamento. Appunto perché il cambiamento risenta delle risorse umanizzanti contenute nella fede.
L’Anno della Fede sarà dunque una grande sfida, in quanto, grazie ai cristiani rinnovati interiormente nelle radici della propria fede, potrà essere superata quella dicotomia tra fede e cultura, già denunciata da Paolo VI, che dichiara l’insignificanza della fede agli effetti della qualità di vita umana. Questo sarà uno dei nodi da sciogliere nell’Anno che ci attende come evento di grazia. Pena una ulteriore squalifica delle potenzialità insite nel patrimonio della fede cristiana.
Di qui la segnalazione fatta dal papa di avere il coraggio di professare anche in pubblico “la fede nel Signore Risorto”, dopo averla solennemente proclamata nelle Cattedrali e nelle comunità cristiane disseminate sul territorio, comunità religiose incluse.
Ma ciò che maggiormente sta a cuore al papa, e di conseguenza a noi, è la determinazione a “trasmettere alle generazioni future la fede di sempre”. Siamo qui di fronte ad un grosso scoglio: come trasmettere alle nuove generazioni la fede di sempre, se di fatto respirano una cultura che, ben che vada, ignora la fede? Anche questa, come quella sopra accennata, è una formidabile sfida che attende gli evangelizzatori credibili, cioè i testimoni della fede.

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